Coltivando la nostra isola si coltiva anche la felicità

Trovo fantastico che in piazza a Portoferraio sia venduto e messo in bella mostra, in un luogo frequentato principalmente da famiglie, persone “normali”, vicino a giocattoli, matite (bellissime) per disegnare e libri intorno che sono vari e sicuramente non accademici, il nuovo studio dell’archeologa Laura Pagliantini, direttrice della Fondazione Villa romana delle Grotte,  intitolato “Aithale, l’isola d’Elba.  Territorio, Paesaggi, società”.  Non appena disponibile, fresco di pubblicazione e con un prezzo importante, è subito apparso nelle vetrine di tutte le nostre librerie.  E in alcuni casi va prenotato.

Che cosa significa?  Qual è il valore reale di questo studio, di questa ricerca di dottorato che ha il supporto di ben quattro università: è l’attenzione e l’amore che la comunità gli attribuisce, la fierezza di averlo in vendita e porgerlo in bella vista.  Per rimanere su un tema a noi caro, è un’ennesima conferma della validità della Convezione di Faro, oppure,  parafrasando Pia Pera, indimenticata scrittrice di natura, paesaggio e giardino, viene da dire che “coltivando la nostra isola si coltiva anche la felicità”.

Sarà poi vero che l’archeologia fa bene?  È normale chiederselo e sorprendersi.  Non sappiamo nemmeno se saremo in grado di leggerlo tutto, se saremo in grado di capirlo.  Mi sento incuriosita ma anche nervosa e non riesco a concentrarmi su nulla, tanto vasto è il volume.  Allora apro la prima pagina.  Questo vuol dire: sfogliare il bel libro, cercare nell’indice, dare un’occhiata veloce alle numerose cartine, cominciare a riconoscere luoghi e persone.  Si, quelle che in tanti abbiamo imparato a frequentare nove anni fa all’inizio di nuove ricerche nella Rada di Portoferraio.  L’introduzione, un fiume in piena dell’autrice, ci porta veloci dentro il cuore delle ragioni che l’hanno concepito.

Già solo a leggere i titoli mi sono dimenticata della mia perplessità di fronte al compito che si presentava arduo.  Comincio e le pagine mi dicono perché la gente si possa interessare proprio a questa pubblicazione: l’Elba ci chiama per accudirla. Prenditi cura di me, ti ricambierò con una miriade di sollecitazioni.  Insomma, ci ha catturato l’attenzione.  Ormai si fatica perfino a ricordare la distrazione che prende nel visitare i nostri musei elbani.  Il libro è gratificante, rafforza in modo rasserenante la connessione tra storia e ricerca, vita contemporanea e comunità locali. È l’esatto contrario della mancanza di concentrazione che ti prende.  Non saprei. Ma l’importante è questo: funziona.

Cecilia Pacini

 

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