Archeologia elbana, una nuova pubblicazione
7 Aprile 2019
Le Notti dell’Archeologia della Regione Toscana alle Grotte
27 Giugno 2019

Lungo i corridoi e le aree del percorso di visita della Villa romana delle Grotte è questo il momento speciale per andare alla scoperta di tante orchidee selvatiche che ritornano, spontanee, ogni anno.  Ce ne sono un po’ ovunque, a gruppi.  Dalla parte verso il canale di Piombino, corrono lungo il sentiero che costeggia il panorama verso il mare aperto, a N/N-E, mentre un altro gruppo è proprio dalla parte opposta, verso San Giovanni e il tramonto, a Ovest.

Abbiamo tagliato l’erba nel sito archeologico proprio in tempo, lasciando spazio per crescere a questi fiori senza essere più disturbati durante tutta la loro fioritura.   È essenziale infatti, come ci hanno spiegato con calore le guide Parco che ci frequentano abitualmente, non tagliare le piantine fino a che non siano seccate, e attendere che rilascino i loro molteplici semi. Sono piante dal ciclo biologico lungo che hanno bisogno di stabilità di habitat. I semi sono piccolissimi: un singolo fiore può contenerne anche 60.000!.

Ecco un estratto dal sito del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, dedicato alle orchidee delle nostre isole.

La delicata bellezza dei loro fiori, isolati o riuniti in racemi, è forse la chiave del successo di queste piante. A differenza delle sorelle tropicali, che per la gran parte vivono tra i rami degli alberi della foresta pluviale, le nostre sono tutte terricole e di piccole dimensioni. Delle oltre cento specie presenti in Italia, si stima che nell’Arcipelago toscano ne siano presenti 35-45: l’incertezza sul numero deriva sia dalla difficoltà di classificazione delle varie specie da parte dei botanici, sia dai rilevamenti incerti che risalgono all’inizio del ‘900 e mai più confermati. In tempi recentissimi sono state censite sull’Elba alcune specie mai individuate in precedenza. Parte del fascino esercitato dalle orchidee è dovuto anche alla difficoltà di definire le varie specie sulla base di caratteri osservabili ad occhio nudo, infatti, all’interno delle singole specie e varietà si riscontra un’estrema variabilità di forme e colori, a ciò si aggiunga la facilità d’ibridazione tra specie diverse, che in alcuni casi può dar luogo ad individui a loro volta fertili. Ma l’aspetto più interessante è il loro “comportamento” rispetto all’ambiente.

Sono piante dal ciclo biologico lungo che hanno bisogno di stabilità di habitat. I semi sono piccolissimi: un singolo fiore può contenerne anche 60.000! Essendo privi d’albume, per germinare hanno bisogno d’instaurare un rapporto simbiotico (chiamato micorriza) con funghi microscopici che metabolizzino le sostanze necessarie alla plantula. Delle migliaia di semi prodotti, pochi riescono a germinare e anche in questo caso possono trascorrere più di 6 anni prima che la pianta fiorisca. Le radici hanno forme diverse nei singoli generi, le più tipiche sono quelle che, già in epoca classica, ne hanno ispirato il nome (Orchis: dal greco “testicoli”), in tutti i casi sono spesse e corte, ingrossate per la presenza di riserve alimentari, dette tuberizzate perché, pur non trattandosi di veri e propri tuberi, ne hanno l’aspetto. Grazie alle radici che consentono loro di svolgere buona parte del ciclo vitale sottoterra e ad altri particolari adattamenti all’ambiente, le orchidee riescono a vivere in luoghi inospitali e degradati. Vi sono alcuni generi tipici del bacino del Mediterraneo che naturalmente non mancano sull’Arcipelago toscano, alcune di queste sono le orchidee del genere Serapias.

Hanno un aspetto inconfondibile, non altrettanto facile è distinguere le varie specie, poiché al loro interno si osserva una notevole variabilità alla quale si aggiungono i frequenti ibridi. Sull’Arcipelago sono presenti cinque specie che fioriscono in aprile-maggio. Gli insetti sono attratti dal riparo offerto dalla singolare forma del fiore e quando vi penetrano entrano in contatto con gli organi sessuali della pianta, portandone via il polline, può così avvenire la fecondazione fra individui diversi. Un altro genere tipicamente mediterraneo è quello delle Ophrys. Delle circa 50 specie che formano questo genere, almeno 12 sono note per l’Arcipelago toscano. Le varie specie sono molto simili nelle parti vegetative: apparato radicale, foglie, fusti, spiga, ma il labello (petalo modificato nella forma e nel colore rispetto agli altri cinque) è straordinariamente diverso. Le differenze nei colori e nelle forme del labello sono così ricche da presentarsi anche tra i fiori della stessa pianta. Si tratta spesso di modificazioni individuali che possono essere ereditarie. Questa variabilità è riconducibile soprattutto al modo bizzarro col quale la pianta richiama gli insetti impollinatori.

I naturalisti del XIX secolo, e lo stesso Darwin, avevano già osservato che i fiori di Ophrys erano visitati solo dai maschi dei vari insetti impollinatori. Sarà il naturalista Kullenberg, nel 1961, a spiegare questo meccanismo. Come tutte le altre orchidee anche le Ophrys, a causa della particolare forma degli organi sessuali maschili, non possono affidarsi al vento per l’impollinazione, in più le orchidee di questo genere, non producono nessuna sostanza zuccherina che possa attrarre gli insetti. La loro strategia consiste nel confondere gli ospiti con l’inganno sessuale. Qui entra in gioco il labello: esso riproduce nella forma l’addome delle femmine delle varie specie d’insetti pronubi, compresa una certa pelosità. Per rendere più efficace la “trappola”, i fiori emettono odori simili a quelli che le femmine delle varie specie d’insetti propagano per attirare i maschi della propria specie. Gli inconsapevoli maschi, nel tentativo di copulare col labello delle Ophrys, sono costretti a disporsi in una posizione obbligata che li fa entrare in contatto con le masse polliniche. L’insetto (calabroni, bombi, vespe ed api) sceglierà il fiore col labello per lui più “attraente”. Essendo la forma e il colore del labello caratteri ereditari, è pensabile che l’evoluzione della pianta sia “tarata” proprio sulla scelta dell’impollinatore. Nonostante le raffinate strategie adattative, di alcune specie di orchidee ne sono rimasti popolamenti pericolosamente esigui: la speranza è riposta in una nuova coscienza verso gli altri viventi da parte dell’uomo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *