La Fondazione ha gestito la raccolta nel sito archeologico e la mini-produzione. Dopo duemila anni l’area riscopre la sua vocazione agricola perduta nel tempo
PORTOFERRAIO. Il nome è presto detto. Si chiamerà l’“olio delle Grotte”, quello che ieri pomeriggio, lunedì 8 ottobre, è stato spremuto al frantoio dello Scoglio. «Non è molto – mette le mani avanti Cecilia Pacini, presidentessa della Fondazione Villa Romana delle Grotte – ma fa niente. Ci sono olivi maestosi che si affacciano sul golfo di Por- toferraio. Questo può essere considerato l’anno zero dell’olio delle Grotte».
Così, nel verde che apparteneva tra il I sec. a.C. e quello d.C. al- la prestigiosa famiglia patrizia romana dei Valerii, si riscopre l’antica vocazione, quella dei frutti della terra. Quindi dell’agricoltura. Ma come si è arrivati alla premitura delle olive colte in quella che fu l’ultima tenuta di Marco Valerio Messalla? «Abbiamo cominciato dal 2016 – ricostruisce i passaggi Pacini – grazie alla collaborazione del Comune, della Cosimo de’ Medici e di alcuni volontari abbiamo cominciato a tagliare le ricca vegetazione attorno ai resti della villa. Prezioso il contributo dell’impresa “Green Garden” di Antonio Malaggese. In questo modo sono venuti fuori questi poderosi olivi che erano quasi completamente sommersi dalle frasche e non più visibili.
Nel 2017 non hanno fatto frutti e questo ci ha indotto a pensare che la vegetazione l’avesse irrimediabil- mente compromessi. Però a febbraio e marzo ci sono state copiose piogge e queste hanno favorito la rinascita. Sicché con il contributo di Marco Ambrosini, Stefano Provenzali, Lio Bardi e Thomas di Rio Marina, professionisti olivicoltori e volontari è stato possibile riportare agli antichi splendori questi secolari olivi. Il tutto rientra nella realizzazione del “Cammino della Rada”, il progetto curato da Italia Nostra.